Storia per i matinée ‐ Storia di Daniele Matarozzi

Mi chiamo Daniele, sono un docente. A volte penso che fare il professore, oggi, non sia poi così fondamentale. Almeno non a scuola, almeno non come si insegnava una volta. Quel che io dico ai ragazzi, le informazioni che trasmetto loro, le possono trovare un po’ ovunque. Vanno sicuramente indirizzati, ma quel che conta davvero a scuola non è spiegare la lezione, non è interrogarli. Un docente deve riuscire a fare qualcosa in più: spingere i ragazzi verso una crescita, verso il miglioramento personale. Mettersi in discussione, partecipare a eventi, creare progetti tutti insieme.

A Lodi e Codogno abbiamo deciso di fare così: progetti di rete su argomenti come la mafia e le sue vittime innocenti, la violenza sulle donne, bullismo e cyberbullismo, educazione alle differenze. Tematiche importanti, attenzionate e finanziate dalla Regione Lombardia. E con quei finanziamenti siamo riusciti a portare i ragazzi in giro per l’Italia, nei campi di volontariato organizzati da Libera, Legambiente, Arci, Associazione Kolbe. Quel che è successo a Castel Volturno, con Libera, è significativo.
Per molti di loro, era la prima volta tutti insieme, dormendo in una tenda, facendo a turno i lavori che vanno fatti in un campo. E che a casa, evidentemente, non erano abituati a svolgere. Ricordo un ragazzo che, il secondo giorno, si rifiutò di lavare i piatti. E io gli dissi: prima o poi toccherà a te, come a tutti gli altri. Gli capitò il terzo giorno e lavò i piatti. Poi, quando arrivò il momento di fare il doppio turno, fu lui il primo a darsi disponibile. Lui, come gli altri ragazzi, si era trasformato. E lo aveva fatto con la convivenza, ascoltando le storie che i giornalisti minacciati dalle mafie, che i familiari delle vittime di mafia, raccontavano durante quell’esperienza al sud. Tutto in una sola settimana, durante la quale i ragazzi si sono dati da fare costruendo anche una staccionata. Al ritorno a casa, i genitori mi dissero: non sono più quelli di prima, sono diversi, sono diventati grandi. Questa è scuola. Questo è il percorso che porta i ragazzi a imparare i valori fondamentali della vita, i valori che contano quando un giorno entreranno nel mondo del lavoro.
E io, che non ho poi tanti anni più di loro, credo nelle reti che spingono i giovani a essere persone migliori, più di quanto lo facciano una lezione, un esame. Ora, come rete, stiamo cercando di fare qualcosa in più. Formiamo i ragazzi delle superiori perché diventino loro i coach e vadano a insegnare ai più giovani, a quelli delle medie. Così il messaggio si fa più centrato. Fa bene a chi insegna, perché si specializza in un argomento e diventa più responsabile. E fa bene a chi ascolta, perché un quasi‐ coetaneo viene considerato più di un adulto. Qui a Lodi, a Codogno, noi facciamo così.

z

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Skip to content